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Josef Albers
Josef Albers, slika 1
03. V. 2002.
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ci sono dei grandi maestri che hanno fondato l'arte esatta. essi non sono molto noti al grande pubblico perché le loro componenti essenziali sono la logicita' e la scientificita' che sono ancora oggi poco accattivanti e coinvolgenti e, soprattutto, piu' difficilmente accessibili. tra questi maestri si puo' senz'altro annoverare josef albers. egli negli anni venti fu dapprima allievo, e immediatamente dopo insegnante alla bauhaus, la celebre scuola che formo' i migliori artisti, designers e architetti europei e mondiali e che sara' sempre punto di riferimento per chi vorra' capire quale veramente sia il senso e la funzione del progettare.
sono stato vicino a josef albers e al suo spirito da quando lo incontrai la prima volta all'inizio degli anni sessanta.
josef albers nacque a bottrop in germania, nel cuore della ruhr, il 19 marzo 1888. a vent'anni si diplomo' come insegnante, ma la sua reale formazione culturale avvenne, appunto, alla bauhaus di weimar dove, dopo aver studiato pittura a berlino e all'accademia di monaco di baviera, si iscrisse come allievo nel 1920 frequentando i laboratori di pittura su vetro e dove, tre anni dopo, inizio' la sua lunga attivita' di docente nel campo dei materiali e del design prima durante la direzione di walter gropius e poi, dopo il transferimento della scuola a dessau, di ludwig mies van der rohe. i suoi corsi, tra i piu' inpegnati e inpegnativi, vertevano sullo studio dei diversi materiali: dalla loro natura, tipologia e lavorazione sino alla loro fenomenologia ottica. negli oggetti da lui ideatti all'interno della scuola il maggior interese era, logicamente, volto alla prefabbricazione e all'uso di quanto l'industria stava iniziando a produrre. la corretta utilizzazione degli strumenti tecnologici diventa cosi' ideologia. nel 1932 albers segui' la scuola a berlino dove vi rimase fino alla sua chiusura, avvenuta nel 1933, quando gli eventi politici annientarono il sogno di quei grandi protagonosti del pensiero costruttivo che avevano fondato e fortemente voluto quella scuola.
dopo la chiusura della bauhaus, josef albers e la moglie anni (compagna - collega che aveva sposato nel 1925) si trasferirono negli stati uniti dove, su raccomandazione del museum of modern art di new york, furono invitati entrambi a insegnare al black mountain college, una scuola appena aperta nel nord carolina, dove albers pote' continuare e sviluppare i programmi didattici elaborati alla bauhaus. durante il periodo del black mountain, albers tenne corsi e seminari in molte altre universita' del nord e del sud america. nel 1939 divenne cittadino americano. nel 1950 fu nominato direttore del dipartimento di design all'universita' di yale; da allora resto' pressoche' sempre negli stati uniti, escluso il periodo durante il quale max bill lo volle accanto a se' nella scuola di progettazione da lui construita a ulm. negli stati uniti albers continuo' ad insegnare a lungo e ricevette, negli ultimi anni della sua vita, moltissime onorificenze e lauree ad honorem. josef albers mori' a new haven nel connecticut il 25 marzo 1976 e fu sepolto a orange.
nel 1983 la citta' di bottrop gli volle dedicare un ampio spazio all'interno del quadrat museum proggetato da bernard kuppers in cui sono ospitate 91 opere e 234 grafiche donate allora dalla moglie anni e dalla josef albers foundation.
josef albers fu lo scienziato del colore contemporaneo e fu un grande ideatore di presentazioni di problemi plastici a forte sollecitazione visuale, ma fu soprattutto un grande didatta nel vero senso della parola, senz'altro uno dei pochissimi del nostro secolo a potersi chiamare, a pieno diritto, tale. da vero insegnante era capace di scoprire e di fare emergere quanto ognuno ha di piu' spiccato in se'; fu il vero maestro del fare e del vedere, del far fare e del far vedere, dando i mezzi e producendo gli esempi necessari per poter sviluppare e acutizzare la percezione visiva, ben consapevole che l'uomo apprende attraverso gli occhi piu' dell'ottanta percento delle sue informazioni. albers fu sempre alla ricerca dell' oggettivita' ottica e della sua verificabilita'. accompagno' ogni sua ricerca con scritti sulla fenomenologia dell'immagine; scrisse saggi motivando la complessita' del suo lavoro, soffermandosi con estrema chiarezza sui punti focali su cui concentrarsi per comprendere ogni problema nella molteplicita' dei suoi aspetti. ha redatto testi didattici fondamentali per l'apprendimento attraverso la percezione visiva. formulo' pensieri e scrisse poesie strutturate foneticamente e visivamente per accentuare il significato della parola, dimostrando anche qui la propria sistematicita'.
albers puntualizzo' il problema dell'arte intesa come scienza e ne dimostro' i postulati, segnando cosi' una strada maestra che sollecito' a percorere in modo sempre piu' analitico. fu un talento naturale della logica plastica e cromatica, dando luogo a problemi concettuali e visivi, che vengono posti e risolti allo stesso tempo. l'opera non ha bisogno di essere interpretata va solo conosciuta. l'opera non va mediata con altri linguaggi. attraverso il suo enorme lavoro albers e' riuscito a dire di se' tutto quello che voleva fosse detto. severo e intransigente con se' e con gli altri fu un 'unico', un vero rivoluzionario evolutivo e, operando a suo modo, ando' contro tutti gli attuali e sempiterni luoghi comuni dell'arte. fu il metro di un 'altro' ordine di misura. ridiede dignita' all'arte. fu un lavoratore instancabile.
il vero inizio dell'attivita' di josef albers nel campo dell'arte pura e' datato 1925-1928, con opere come fugue, 1925, e skyscrapers, 1928. nei lavori, che nascono immediatamente dopo il periodo del bianco e nero durante il quale albers aveva realizzato patterns a forte sollecitazione visiva nei quali l'immagine di base produce sensibili mutazioni a livello retinico, si determinano ambiguita' percettive e strutture a piani apparentemente sovrapposti, dove il colore ha una pura funzione topologica e fa da supporto alla ricerca sistematica sul modulo e le sue variabilita' automatiche. successivamente, nella serie delle treble clef del 1934, l'immagine non e' solo graficamente emblematica, ma e' portatrice di un colore che e' la sostanza stessa della permutazione. queste ricerche, le immagini e i loro sistemi, sono senz'altro precorritrici dell'elaborazione elettronica.
si giunge poi al momento in cui il rapporto dialettico, del colore, del segno e dello spazio, diventa la sostanza dell'opera. la traiettoria inizialmente si alterna tra immagine polifocale in open air, monofocale gate, entrambe del 1936, e bifocale come b and p, del 1937; strutture ancora complesse e dense di riferimenti, che pero' saranno le anticipazioni delle variant e degli homage to the square.
l'omaggio al quadratto, iniziato nel 1950, e' il grande spettacolo cromatico, pressoche' inesauribile, svolto su un rigidissimo schema formale di tre o quattro quadrati sovrapposti di diverso colore.
albers diceva:"il colore e' il mezzo piu' relativo che esista, io posso annientare il rosso piu' vivo se lo accosto a un violetto, posso far ballare il grigio piu' triste se lo metto vicino a un nero. faccio quello che voglio con il colore, esso si comporta come io mi aspetto. niente azzardo o buone o cattive sorprese, so dove vado. sono io che comando". in queste opere, nelle quali il colore totale diviene emanazione di spazio interno ed esterno a forte suggestione psichica data inizialmente da acostamenti azzardati e sollecitanti, albers ci da' la prova che i colori 'respirano', che si 'muovono' avanzando e indietreggiando, 'crescono' e 'diminuiscono' di fronte alla nostra retina, tutto in funzione di come si uniscono tra loro. tutto e' interrelazione.
albers ha sempre scritto sul retro e inizialmente persino, piccolo piccolo, sul margine piu' esterno delle sue pitture da che cosa esse fossero fisicamente composte, elencando dettagliatamente preparazione, sistemi e sequenze, pigmenti, vernici, loro qualita' e marca di fabbricazione, ed ogni altra annotazione riguardante la construzione dell'opera.
albers non interrompeva mai una pittura perche' poteva constatare il raggiungimento di cio' che si era prefisso solo quando essa era ultimata, e per opera ultimata si intendeva sino all'ultimo colore, sempre rigorosamente puro, uscito dal tubetto, steso sulla masonite con la spatola, e allora su quello esterno, ancora fresco, incideva in basso a destra il suo monogramma e la data. poi attendeva qualche tempo, la rivedeva e solo quando la riteneva perfetta, sia materialmente, sia spiritualimente, segnava sul retro il titolo che rifletteva sempre la sensazione provata. vi meteva la firma solo prima che essa uscisse dallo studio. anche tutto cio' faceva parte della scrupolosa e sottile lezione del suo fare per tener lontana ogni possibile mistificazione.
getulio alviani, 1991
 
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